Fare pubblicità serve davvero?

La pubblicità è una tecnica di comunicazione sviluppata attraverso strumenti come televisione, affissioni, internet, posta, radio e giornali. Divulgata da operatori economici, ha lo scopo consapevole e sistematico di persuadere e modificare le decisioni di acquisto e di utilizzo di specifici servizi da parte delle persone.

Classificazioni

La classificazione principale e di base della pubblicità è quella tra profit e no profit, ovvero basata sulla distinzione tra pubblicità a scopo di lucro o non. Un altro tipo di classificazione distingue tra: pubblicità sociale, advocacy advertising, pubblicità commerciale, pubblicità pubblica e propaganda politica.

La pubblicità sociale ha lo scopo di favorire opere socialmente importanti. L’advocacy advertising è invece la pubblicità che vuole portare a un’approvazione riguardo un tema dove esistono opinioni diverse. La pubblicità commerciale è quella più comune: il suo fine è quello di promuovere un articolo che è in vendita, o l’azienda che lo produce.

Lo Stato e la Pubblica Amministrazione sfruttano invece la pubblicità pubblica, cioè informa i cittadini sui propri doveri e diritti. Infine esiste la propaganda politica, quella cioè che promuove un partito o un ideale di carattere politico.

Comunque non esiste solo questa classificazione: ce ne sono molte altre che in ogni caso non si smentiscono tra loro. La classificazione può essere eseguita, per esempio, basandosi sul mezzo che trasmette la pubblicità, quindi radio, cinema, quotidiani, periodici, televisione, internet, affissioni; oppure può valutare la tipologia di utenti verso cui è diretta la pubblicità, risultando così più precisa.

Come si è evoluta nel tempo

La pubblicità è un fenomeno molto antico, anche se inizialmente era soltanto propaganda. Per esempio, a Pompei è ancora possibile leggere sulle pareti delle abitazioni romane iscrizioni che hanno resistito all’eruzione del Vesuvio avvenuta nel 79 d.C., che suggerivano ai cittadini dell’epoca di votare un determinato politico durante le elezioni.

La pubblicità di connotazione attuale arriva però soltanto con la creazione della stampa: nel 1630 appare su un giornale la prima inserzione pubblicitaria (in realtà un semplice richiamo al nome dell’articolo pubblicizzato).

L’annuncio pubblicitario vero e proprio arriva con la rivoluzione industriale: aumentano i prodotti e di conseguenza si ha un’evoluzione del consumismo, che porterà a messaggi pubblicitari che, nella loro creazione, si poggiano sull’attività di artisti, disegnatori, psicologi e registi illustri. Grazie alla pubblicità, in cui numerose aziende investono parecchi fondi, trovano oggi impiego numerose persone (dell’ordine dei milioni), nonché personaggi di elevata intelligenza.

In Italia la pubblicità si sviluppa seguendo le necessità sociali, economiche e culturali del Paese: fino alla fine del XIX sec. non si sentiva, infatti, l’esigenza di promozioni pubblicitarie in quanto la nostra nazione si basava quasi esclusivamente sull’agricoltura, erano presenti alti tassi di povertà e analfabetismo, senza parlare poi del fatto che vi era una netta differenza tra Nord e Sud per quanto concerne la condizione socio-economica.

Tra la metà dell’Ottocento e l’inizio del secolo successivo, con la stampa dei primi giornali, appaiono anche le prime réclame (come si chiamavano in quel tempo i messaggi pubblicitari): sulle ultime pagine della “Tribuna Illustrata”, la “Domenica del Corriere” e l’”Illustrazione italiana” è possibile così leggere i primi annunci.

A causa dell’alto tasso di analfabetismo, poche persone erano in grado di leggere le pubblicità di questo periodo, basate su scritte e disegni; esse comunque apparivano immediate e di notevole semplicità.  Appaiono anche i primi cartelloni pubblicitari e si sviluppa così la pubblicità murale, grazie anche al lavoro di artisti quali Giovanni Maria Mataloni, Adolf Hohenstein, Leonetto Cappiello, Marcello Dudovich e Leopoldo Metlicovitz.

Nel secondo dopoguerra, la pubblicità in Italia prese a essere vista in maniera negativa: nasce così un nuovo modo di reclamizzare molto più creativo e decisamente originale, il Carosello. Per avere informazioni al riguardo si consiglia di visionare le pagine a esso dedicate, dove vengono esposte le caratteriste e gli attori che fanno parte di questa specie di spettacolo.

E’ utile per le aziende?

Dopo tutte queste disquisizioni è normale chiedersi se la pubblicità effettivamente funzioni, cioè, se il mercato ne è influenzato, o se non cambierebbe assolutamente nulla se essa fosse assente. Quando si parla di “efficacia della pubblicità” la prima cosa da capire è quale sia l’effettivo scopo della pubblicità in modo da comprendere la sua effettiva: per fare ciò, per semplicità, si prenderà in considerazione la classica pubblicità commerciale che tutti noi conosciamo.

Dal punto di vista dell’azienda che investe soldi per un evento pubblicitario, come per esempio uno spot in televisione, è evidente che una pubblicità sarà efficace se farà vendere di più l’articolo che produce, con un conseguente aumento del proprio guadagno. Tuttavia questa definizione non è formalmente quella più corretta, in quanto, a ben guardare, esistono tante altre variabili, che interferiscono sulla scelta di un prodotto da parte del consumatore, oltre alla sola visione del messaggio pubblicitario.

Per quanto questo tipo di schematizzazione, legato al concetto stimolo (guardare la pubblicità)/risposta (acquistare l’articolo), possa sembrare utile, tuttavia la situazione non è così semplice, poiché la maggior parte dei prodotti richiedono spese iniziali d’investimento e non comportano coinvolgimenti emotivi, rappresentando, infatti, articoli di uso comune e giornaliero, quali per esempio benzina, carta igienica o acqua minerale; merce di questo tipo viene comprata in modo regolare e presenta concorrenza di livello similare.

Comunque il legame tra acquisti effettuati in modo metodico e automatico dal consumatore e una pubblicità che segue la regola “aumento delle vendite in funzione del quantitativo di pubblicità effettuata” è molto debole. In generale bisogna ammettere che la valutazione dell’efficacia della pubblicità è una questione piuttosto complicata.